Odg per la seduta n. 164 della commissione Istruzione Pubblica, Beni Culturali
SENATO DELLA REPUBBLICA
-------------------- XVIII LEGISLATURA ------------------


7a Commissione permanente
(ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI, RICERCA
SCIENTIFICA, SPETTACOLO E SPORT)


*164a seduta: martedì 16 giugno 2020, ore 14
165a seduta: mercoledì 17 giugno 2020, ore 8,30
166a seduta: giovedì 18 giugno 2020, ore 8,30


ORDINE DEL GIORNO


PROCEDURE INFORMATIVE

I. Interrogazioni

II. Seguito dell'audizione del Ministro per i beni e per le attività culturali e per il turismo sulle iniziative di competenza del suo Dicastero connesse all'emergenza epidemiologica Covid-19 nei settori dei beni e delle attività culturali

III. Audizione del Ministro dell'università e della ricerca sulle iniziative di competenza del suo Dicastero connesse all'emergenza epidemiologica Covid-19 Svolta

IN SEDE CONSULTIVA

I. Seguito dell'esame congiunto del disegno di legge:
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019
(Relazione alla 14ª Commissione)
(1721)
- e dei documenti:
1. Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2020
(Parere alla 14ª Commissione)
(Doc. LXXXVI, n. 3)
2. Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2019
(Parere alla 14a Commissione)
(Doc. LXXXVII, n. 3)
- Relatrice alla Commissione IORI
Seguito e conclusione dell'esame congiunto. Relazione favorevole con una osservazione sul disegno di legge n. 1721. Parere favorevole sul Doc. LXXXVI, n. 3 e sul Doc. LXXXVII, n. 3)

II. Esame dell'atto:
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 2019, n. 133
(Osservazioni alla 1ª Commissione)
(n. 177)

IN SEDE REFERENTE
Seguito dell'esame congiunto dei disegni di legge:
1. Delega al Governo in materia di insegnamento curricolare dell'educazione motoria nella scuola primaria (Approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Marin ed altri; Vanessa Cattoi ed altri; Virginia Villani ed altri; Rossi ed altri; Rampelli ed altri)
(Pareri della 1ª, della 5ª, della 11ª, della 12ª Commissione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali)
(992)
2. ROMEO ed altri. - Disposizioni per la promozione della pratica sportiva nelle scuole e istituzione dei nuovi Giochi della gioventù
(Pareri della 1ª, della 5ª Commissione e della Commissione parlamentare questioni regionali)
(567)
3. Donatella CONZATTI ed altri. - Disposizioni in materia di pratica sportiva negli istituti scolastici
(Pareri della 1ª, della 5ª, della 12ª Commissione e della Commissione parlamentare questioni regionali)
(625)
4. CASTALDI ed altri. - Disposizioni per il potenziamento e la diffusione dell'educazione motoria nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria
(Pareri della 1ª, della 5ª, della 11ª, della 12ª Commissione e della Commissione parlamentare questioni regionali)
(646)
5. Angela Anna Bruna PIARULLI ed altri. - Disposizioni per la promozione dell'educazione motoria e sportiva nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria
(Pareri della 1ª, della 5ª, della 11ª, della 12ª Commissione e della Commissione parlamentare questioni regionali)
(1027)
- Relatore alla Commissione BARBARO
INTERROGAZIONI ALL'ORDINE DEL GIORNO
CORRADO , ANGRISANI , GRANATO , DE LUCIA , VANIN , RUSSO - Ai Ministri per i beni e le attività culturali e per il turismo e dell'istruzione, dell'università e della ricerca. -

Premesso che:

risulta agli interroganti che la dottoressa Elena Calandra sia dirigente del Servizio II, Scavi e tutela del patrimonio archeologico della Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio (ABAP) del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e contestualmente direttore ad interim dell'Istituto centrale per l'archeologia (ICA);

l'ICA, istituito con decreto ministeriale n. 245 del 13 maggio 2016 e organizzato dal decreto ministeriale n. 169 del 7 aprile 2017, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 giugno 2019, n. 76, art. 14, comma 4, non è più un istituto centrale di livello dirigenziale non generale, ma, a far data dal 22 agosto 2019, pur mantenendo la denominazione istituto centrale e lo status di istituto dotato di autonomia speciale, è diventato un "ufficio" della Direzione generale ABAP operante presso il Servizio II;

considerato che, secondo quanto risulta agli interroganti:

due convenzioni quadro di durata triennale per tirocini curriculari sono state stipulate in data 30 novembre 2016 tra la Direzione generale ABAP e l'università di Roma "Sapienza" e in data 3 maggio 2018 tra ICA e Dipartimento scienze dell'antichità (DSA) della suddetta università; in aggiunta a quelle, un "accordo di collaborazione didattico-scientifica" è stato firmato tra le due amministrazioni per l'anno accademico 2017/2018, per il 2018/2019 e da ultimo, il 1° ottobre 2019, per il 2019/2020;

l'accordo di collaborazione più recente (2019/2020), firmato dal direttore pro tempore della Direzione generale ABAP del Ministero, dottoressa Federica Galloni, e dal direttore pro tempore del DSA dell'università di Roma, professor Giorgio Piras, prevede, all'art. 2, che per gli insegnamenti di Legislazione dei beni culturali attivi nei vari corsi di studio del DSA siano impiegati "il Dirigente del Servizio II e Direttore ad interim dell'ICA" e, come cultori della materia, altri 4 dipendenti ministeriali, tre di area 3 e uno di area 2: le dottoresse V.A. e V.B. in forza ad ICA, la dottoressa A.F. e il dottor E.P. in forza al Servizio II;

l'impegno consta di 48 ore di lezione (36 frontali e 12 pratiche), oltre alla disponibilità "per gli esami di profitto e per le tesi di laurea della medesima disciplina"; sono inoltre previsti "incontri, presentazioni, convegni, etc., preventivamente concordati, e se del caso organizzati congiuntamente", che presuppongono anch'essi l'impiego di ore di lavoro;

poiché tutte le attività previste sembrerebbero essere svolte dalla dirigente e dal restante personale del Ministero allocato presso il Servizio II in orario di servizio, a parere degli interroganti l'efficienza del Servizio II non può che risultare compromessa, date le decine di ore sottratte a quell'ufficio, con ingiustificato aggravio del carico di lavoro per i dipendenti non coinvolti e conseguente danno erariale;

come si apprende dal sito web dell'ICA, sono 150 le ore di lezione sulla Legislazione dei beni culturali svolte tra ottobre 2017 e marzo 2019 per conto dell'università di Roma Sapienza (48 più 48 più 30 ore) ma anche, grazie ad analoghe convenzioni, per la Scuola archeologica italiana di Atene (25 ore) e la Scuola di alta formazione (SAF) dell'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (ISCR) di Matera (8 ore),

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quale sia la declaratoria scientifico-disciplinare dell'insegnamento di Legislazione dei beni culturali;

quale legittimazione scientifico-disciplinare abbiano la dottoressa Calandra e i suoi collaboratori ad insegnare Legislazione dei beni culturali, che è materia afferente al diritto amministrativo IUS/10 ed è solitamente ricondotta a quello nelle istituzioni di formazione del Ministero stesso (scuole di alta formazione dell'ICRPAL), così come nelle università statali e nelle accademie di belle arti di tutto il Paese, dove l'insegnamento di Legislazione è assegnato esclusivamente a giuristi;

quale sia il compenso dovuto per le lezioni e se questo sia corrisposto direttamente ai docenti, ovvero all'ICA in virtù delle convenzioni istituzionali;

se effettivamente lezioni, viaggi e permanenze fuori sede del personale ministeriale siano effettuati in orario di servizio e da chi le missioni e i relativi costi siano stati autorizzati e coperti;

quali siano stati i precedenti docenti di Legislazione dei beni culturali del DSA dell'università di Roma Sapienza e della Scuola archeologica italiana di Atene e quali i loro titoli culturali;

quale norma sia stata applicata dall'università di Roma nel caso della dottoressa Calandra per giustificare la deroga al principio della necessità della valutazione comparativa del docente da reclutare a contratto per effetto di un mero atto pattizio;

quali siano i motivi per cui la convenzione tra Ministero e università sia stata firmata, per conto del dicastero, dalla Direzione generale ABAP, cioè dal dirigente dell'ufficio dove prestano servizio la dirigente dottoressa Calandra e i funzionari assegnati al suo servizio;

se si ritenga legittimo, conveniente e opportuno consentire la stipula di convenzioni tra istituzioni che vedono beneficiare della collaborazione didattica, ed in proprio, impiegati ministeriali e se non risulti, piuttosto, che tali convenzioni integrino una sorta di "ricatto" formalizzato, che vede come prestazione la docenza universitaria, ancorché a contratto, e quale controprestazione l'accoglimento di studenti come tirocinanti presso il Ministero;

se non sia più corretto accogliere come tirocinanti gli studenti dell'università di Roma Sapienza e di qualsiasi altro ateneo, a prescindere dall'obbligo di conferire contratti di docenza universitaria al personale ministeriale;

se risulti l'attivazione dell'Agenzia nazionale anticorruzione al fine di verificare la legittimità della procedura;

se i risultati dell'attività didattica e di ricerca siano correttamente imputati all'ente o ai singoli impiegati ministeriali in forza di convenzioni agevolatrici;

quali azioni di competenza intendano assumere per accertare le responsabilità e adottare gli opportuni provvedimenti finalizzati a ripristinare legalità ed efficienza negli uffici e negli istituti compromessi dai comportamenti descritti.


(3-01263)



CORRADO , ANGRISANI , CAMPAGNA , DONNO , ROMANO , GRANATO , DE LUCIA , PRESUTTO , TRENTACOSTE , MARILOTTI - Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. -

Premesso che:

risulta agli interroganti che il 5 novembre 2019 il museo parigino del Louvre abbia lanciato, anche mediante i suoi canali social ufficiali, la decima campagna di raccolta fondi "Tous Mécènes!", chiamata "Mission Apollon. Aidez le Louvre à faire entrer ce trésor national dans ses collections";

la campagna mira ad accumulare (entro il prossimo 28 febbraio 2020) offerte da 5 euro mediante sms e da 50, 150, 500, 1.500 o più euro mediante carta di credito, fino a un minimo di 800.000 euro, da parte di mecenati che vogliano contribuire all'acquisto in atto di una scultura in bronzo del II-I sec. a.C. oggi esposta alla "Galerie Daru", alta centimetri 68 e raffigurante un Apollo stante, nudo, nell'atto di suonare la cetra (perduta);

tempestivamente l'architetto Antonio Irlando dell'Osservatorio patrimonio culturale ha diramato un comunicato stampa in cui afferma che il ministro Franceschini "dovrebbe chiedere dettagliate spiegazioni alla Francia sulla legittimità dell'acquisto in corso, da parte del Museo Louvre di Parigi, di una preziosa statua in bronzo di Apollo citarista proveniente, ma non si sa in che modo, dal territorio entro cui si trovano gli scavi archeologici di Pompei", come si legge su un lancio dell'agenzia "Ansa" del 6 novembre 2019;

analoghe richieste sono state avanzate sul web magazine "Fame di Sud" nell'articolo titolato "Quell'Apollo pompeiano che il Louvre vuole acquistare, mentre l'Italia resta a guardare", pubblicato il 3 dicembre 2019;

in effetti, se l'origine del capolavoro messo in vendita per 6,7 milioni di euro (di cui 3,5 offerti dalla Société des Amis du Louvre) è oggettivamente dubbia, sia nel sito web del Louvre che in quello degli "Amis du Louvre" si legge che la statuetta è un "trésor national" proveniente da Pompei;

sul sito web del Louvre, in specie, nella sezione "Le project d'acquisition", il paragrafo denominato "Apollo from Pompeii: nearly 100 years on French soil" riproduce i due disegni (nn. 8-9) della scultura in questione pubblicati a p. 37 del vol. V.1 del "Répertoire de la statuaire grecque et romaine" di Salomon Reinach;

la legenda che accompagna i disegni ("B. Environs de Pompéi. Coll. Xav. Durighello (1922), puis au Musée de Californie (1923)") rivela che l'opera comparve per la prima volta nella collezione di Xavière Durighello, a Parigi, nel 1922, provenendo dai dintorni di Pompei, senza però fornire informazioni circa la sorte del reperto anteriormente a quella data;

una fotografia in bianco e nero, pubblicata anch'essa sulla pagina web citata, documenta le condizioni della statuetta prima della vendita agli avi degli attuali proprietari, avvenuta nel 1925, e la mostra parzialmente coperta di concrezioni perché non ancora restaurata;

quella circostanza, che depone a favore di un recupero avvenuto pochi anni prima, unita alla dichiarata provenienza dell'opera dai dintorni di Pompei, non può che suggerire che essa sia stata rinvenuta negli scavi condotti illegalmente a fine XIX-inizio XX secolo in una delle villae vesuviane;

detti scavi restituirono, tra gli altri capolavori artistici, quel "tesoro di Boscoreale" di cui, a parere degli interroganti, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, nell'interesse dell'Italia, potrebbe e dovrebbe richiedere alla Francia almeno la comproprietà;

considerato che:

nel 2017, quando gli eredi dell'acquirente del 1925 la reimmisero sul mercato antiquario, la statua è stata dichiarata dalla Francia "trésor national", solo a motivo della sua documentata permanenza nel Paese per poco meno di un secolo, ragione addotta anche per dare maggior forza alla volontà del Louvre di assicurarla alle proprie collezioni;

a parere degli interroganti nella vicenda si rileva un'imbarazzante unilateralità nella vantata amicizia italo-francese, risolta sempre a detrimento degli interessi nazionali, come dimostrò il caso, ormai datato, della commode settecentesca uscita dall'Italia per impreziosire il museo di Versailles, nonostante fosse vincolata e l'ufficio esportazione del Ministero avesse dato parere contrario,

si chiede di sapere:

se, al netto della dichiarata provenienza italiana (e più puntualmente vesuviana) della scultura già in collezione Durighello e oggi in procinto di essere acquistata dal Louvre, il Ministro in indirizzo abbia richiesto l'ostensione o se sia comunque a conoscenza dell'esistenza di un permesso di esportazione grazie al quale l'opera sia uscita legalmente dal nostro Paese per entrare in Francia;

se, in caso di assenza del permesso, non ritenga che la bimillenaria presenza della statua di Apollo citaredo in Italia legittimi il nostro Paese, ben più dei francesi, a considerare l'opera patrimonio della nazione e ad adoperarsi fattivamente, sia perché la proprietà italiana venga riconosciuta dai transalpini, sia per rientrarne in possesso;

se non colga un fondo di malafede nell'operazione avviata dal Louvre, dal momento che la Francia, ratificata la convenzione Unesco di Parigi del 1970 solo a distanza di quasi 30 anni (1997), si è ben guardata dall'applicare al caso di specie l'art. 15 della convenzione, cioè la possibilità di accordi speciali tra Paesi per la restituzione di beni culturali esportati illecitamente prima del 1970;

se non reputi censurabile l'agire del museo del Louvre, istituzione con fini dichiarati di ricerca, conservazione ed esposizione, ma disposta a macchiarsi del reato di ricettazione (prescritto) acquistando un reperto che sa essere entrato in Francia illegalmente, sia pure un secolo fa, proprio come negli anni '80 e '90 risulta averne acquistati da un noto trafficante italiano;

se non ritenga doveroso chiedere conto ai francesi dell'incoerenza dimostrata, ignorando bellamente le conseguenze della notoria provenienza italiana dell'Apollo citaredo mentre, proprio in forza del citato art. 15 della Convenzione di Parigi, hanno restituito beni culturali di assai più alto valore, entrati nel Paese ben prima del 1970, a Stati africani come l'Egitto dei quali, evidentemente, intendevano assicurarsi il favore o farsi perdonare antichi peccati;

quali provvedimenti intenda assumere in merito al caso dell'Apollo "pompeiano", nonché per ripristinare la legalità (e un minimo di lealtà reciproca) nei rapporti tra l'Italia e la Francia.


(3-01277)



CORRADO , LA MURA , TRENTACOSTE , LEONE , ROMANO , VANIN , ABATE , ANGRISANI , DE LUCIA , LANNUTTI - Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. -

Premesso che:

come reso noto dal primo firmatario del presente atto l'11 dicembre 2019 con un comunicato stampa, risulta che il 9 dicembre 2019 la Direzione generale musei del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo ha richiamato il direttore del museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, architetto Carmelo Malacrino, al rispetto delle diverse norme violate con la nomina di un portavoce; notizia oggetto del comunicato stampa dello stesso direttore, datato 1° novembre 2019, a cui è seguita la presentazione dell'atto di sindacato ispettivo 3-01278;

la Direzione generale, che svolge anche compiti di indirizzo e controllo nei confronti degli istituti dotati, come il museo reggino, di autonomia speciale, ha imposto all'architetto Carmelo Malacrino la rescissione del contratto indebitamente stipulato e l'impegno a farsi carico pecunia sua della spesa per il servizio prestato dal professionista esterno nel periodo 1° novembre 2019-10 dicembre 2019;

considerato che, per quanto risulta agli interroganti:

nei giorni successivi all'annullamento in autotutela del contratto, i media reggini hanno dato spazio alla "difesa" di Malacrino, affidata ad un ulteriore comunicato stampa che le testate locali hanno arricchito, talvolta, con considerazioni personali degli autori degli articoli;

il giornalista Claudio Labate, in particolare, volendo dare sostanza a quanto asserito con studiata vaghezza da Malacrino, cioè di avere agito "sulla base di procedure già istruite da alcuni colleghi", ha scritto che "la figura del portavoce esiste in almeno un Museo di Italia e anche a Statuto Speciale: il Museo Real Bosco di Capodimonte", come riportato da "citynow" il 16 dicembre 2019;

la difesa d'ufficio dell'architetto Malacrino assunta dal dottor Labate indica espressamente in Sylvain Bellenger, direttore del museo Real Bosco di Capodimonte, altro istituto autonomo del Ministero, colui che, essendosi dotato di un portavoce, dimostrerebbe la legittimità della decisione del collega calabrese, salvo, altrimenti, indicarne la corresponsabilità;

il lungo comunicato stampa scritto dall'architetto Malacrino a metà dicembre interpreta la contestazione mossagli dalla Direzione generale come "uno scandalo tutto reggino", dove scandalo ha il senso etimologico di inciampo (dal greco skandalon); il testo prosegue tessendo lungamente le lodi dei suoi 4 anni di direzione del museo, punteggiati di ostacoli (stessa etimologia) che egli lascia intendere generati dagli altri uffici del Ministero, come riportato dallo stesso articolo;

si legge anche come il "rosario" delle lamentele è sgranato con cadenza annuale (2015-2019) e dà spazio soprattutto alla denuncia delle responsabilità altrui per il mancato funzionamento di alcuni impianti; circa il 2019, poi, le rimostranze del direttore sono argomentate come segue: "Si giunge al 2019, anno in cui si resta ancora in attesa, quattro anni dopo l'inizio della direzione, degli elenchi del patrimonio archeologico di competenza, sul quale si è dovuta avviare una nuova inventariazione per 'fare la conta' dei reperti presenti";

Labate rafforzerebbe l'idea di una fantomatica "congiura" della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio ai danni del direttore chiosando: "Secondo i più informati all'atto della riapertura del museo risultarono mancanti diversi pezzi di collezione che non si sa dove siano andati a finire";

risulta ben noto ai vertici del Ministero che la realtà sarebbe tutt'altra: per cominciare, Malacrino trattiene nel museo, senza averne titolo, l'archivio storico fotografico dell'ex Soprintendenza archeologica della Calabria, la cui eredità documentale, grafica e fotografica spetta all'odierna Soprintendenza archeologica delle belle arti e paesaggio, perché prodotta dall'ufficio di tutela regionale dal 1945 in poi e tuttora strumento essenziale di lavoro per i dipendenti;

a dispetto di quanto sopra e del ruolo di custode spettante alla Soprintendenza, Malacrino rivendica per sé quel materiale senza che gli sia stato consegnato ufficialmente, ne dispone ad libitum e in pubblico etichetta le immagini come patrimonio dell'archivio fotografico del museo di Reggio, causando alla Soprintendenza erede anche un cospicuo danno erariale;

peggior sorte hanno avuto i reperti archeologici ascritti al patrimonio del museo, specialmente i più piccoli e fragili, la cui integrità materiale ed estetica è stata messa in forse dalla nuova numerazione che il direttore ha ordinato di apporvi, per "fare la conta dei reperti presenti", senza che ricorressero le condizioni di assoluta necessità richieste dalla normativa (art. 6 del regio decreto n. 363 del 1913, e successive modificazioni ed integrazioni) e senza tener conto delle disposizioni catalografiche né delle regole per le nuove inventariazioni,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga di fugare il dubbio insinuato da Labate in merito al comportamento del direttore del museo Real Bosco di Capodimonte ignorando, o fingendo di ignorare, quanto previsto dalla legge n. 150 del 2000 in materia di competenze necessarie per svolgere attività di ufficio stampa;

se non ritenga indispensabile smentire, perché non rispondente al vero, l'asserita scomparsa di diversi pezzi di collezione dal museo di Reggio Calabria;

se non reputi necessario e urgente chiarire le responsabilità del museo e della Soprintendenza di Reggio Calabria sul patrimonio archeologico presente nel museo ed esplicitare chi abbia fin qui disatteso le disposizioni delle direzioni generali competenti, agendo per amore di verità e per rispetto della popolazione locale, altrimenti costretta ad ascoltare sempre e solo la voce del direttore Malacrino, per il quale evidentemente non vale il decreto ministeriale 23 dicembre 2015 benché sia anch'egli un dipendente ministeriale;

se non ritenga necessario e urgente stigmatizzare il comportamento dell'architetto Malacrino in ordine alle mancate autorizzazioni all'accesso all'archivio fotografico per il personale della Soprintendenza e ai depositi del museo, nonostante le ripetute richieste, per lo svolgimento di attività istituzionali da parte della Soprintendenza stessa e dell'Istituto centrale catalogo e documentazione;

se non ritenga opportuno sollecitare il segretariato generale del Ministero ad avviare una nuova ispezione in tema di impianti, spazi e depositi del museo, dopo quella condotta dalla dottoressa Barbera (per come risulta dal documento al prot. n. 4298 del 24 marzo 2017) che, nonostante le gravi risultanze, inspiegabilmente non ha avuto conseguenze per il direttore;

se non pensi di ricorrere ad un'indagine interna anche per chiarire le ragioni della riconferma dell'architetto Malacrino alla guida del museo, avvenuta nonostante i vertici ministeriali fossero perfettamente a conoscenza del contegno del professionista durante il primo mandato, inappropriato al ruolo dirigenziale rivestito e ostile nei confronti degli altri uffici del Ministero, e dunque dell'inattendibilità della sua scheda di valutazione della performance.


(3-01359)



CORRADO , FERRARA , PACIFICO , ORTIS , GRANATO , ANGRISANI , VANIN - Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. -

Premesso che:

Palma Bucarelli (1910-1998) fu una delle principali protagoniste della vita culturale italiana del secondo dopoguerra; storica dell'arte, critica e museologa, prima donna a dirigere un museo statale italiano, fu soprintendente della galleria nazionale d'arte moderna di Roma dal 1941 al 1975;

nel 1998, poco prima di spegnersi, la Bucarelli dispose la donazione all'archivio centrale dello Stato di documenti eterogenei (dalla corrispondenza intrattenuta con familiari, amici, colleghi, artisti e intellettuali del suo tempo a testi autografi, ad articoli a stampa e fotografie), mentre riservò all'accademia nazionale di san Luca la sua biblioteca personale;

il fondo bibliografico donato era costituito da migliaia di volumi: cataloghi di mostre, monografie d'arte, opere letterarie, collane, enciclopedie, dizionari, repertori e periodici, comprese molte prime edizioni, edizioni di pregio a tiratura limitata e numerosi esemplari con dediche di intellettuali e studiosi contemporanei, quali ad esempio, Pasolini e Argan, o di artisti quali Burri, Capogrossi, Manzoni, Pollock;

del fondo Bucarelli faceva parte anche una limitata porzione della biblioteca personale del marito, Paolo Monelli, noto giornalista e scrittore modenese, per il resto donata e custodita, unitamente al suo archivio, nella biblioteca statale "Antonio Baldini" di Roma;

alle opere suddette, raccolte in diverse centinaia di contenitori di cartone per essere agevolmente movimentate e consegnate all'accademia, prestigioso istituto che dal 1934 ha sede nel palazzo Carpegna, attiguo alla fontana di Trevi, erano associate le relative scaffalature;

il valore economico del fondo Palma Bucarelli si presume molto cospicuo ma ormai incalcolabile, mentre quello culturale si stima elevatissimo; esso avrebbe dovuto impreziosire la "biblioteca accademica", che nominalmente lo annovera, infatti, tra i suoi "gioielli", gestita contestualmente alla "biblioteca romana Sarti", inaugurata nel 1881, che l'architetto Antonio Sarti donò al Comune di Roma e in tutela perpetua all'accademia;

considerato che:

risulta all'interrogante che una volta ricevuto il materiale, i responsabili dell'accademia fecero accantonare i cartoni di cui sopra in due sedi diverse, un deposito e la chiesa accademica dei santi Luca e Martina, da dove la seconda tranche è stata poi spostata in palazzo Carpegna, senza disporre che si stilasse un elenco completo delle opere in entrata;

in seguito, queste ultime non sarebbero state messe a disposizione dell'utenza, nonostante la volontà del donante di vederne assicurata la fruizione, né i ripetuti cospicui contributi pubblici (comunali e statali) per la catalogazione e l'inventariazione avrebbero prodotto i risultati attesi;

le indagini sulla gestione dei beni non solo culturali che fanno capo all'accademia, svolte dai Carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale a partire dal 2008, con nuovo impulso dal 2014 e tuttora in corso, avrebbero anzi dimostrato, tra le altre irregolarità accertate, l'avvenuto smembramento del fondo Palma Bucarelli, il deterioramento di molte opere, la dispersione, cessione o sparizione di migliaia di volumi antichi e di pregio (e della documentazione connessa), mentre un centinaio di testi sarebbero risultati danneggiati irrimediabilmente dall'umidità e le scaffalature scomparse;

considerato inoltre che, per quanto risulta all'interrogante:

anteriormente alle suddette indagini, dalle quali è stato poi stralciato il filone riguardante il fondo Palma Bucarelli, i vertici dell'accademia, ente di diritto privato senza fine di lucro il cui patrimonio culturale è tutelato ai sensi dell'art. 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, non avessero sporto alcuna denuncia in merito alla sorte di quel patrimonio;

pare che segnalazioni di illeciti non fossero pervenute all'autorità giudiziaria neppure dalle ex soprintendenza ai beni librari e soprintendenza archivistica del Lazio, che avevano e hanno, anche post decreto ministeriale 23 gennaio 2016, n. 44, recante "Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo", compiti di vigilanza sui fondi librari e archivistici gestiti dall'istituto;

la stessa accademia, inoltre, non si sarebbe costituita parte civile nel processo, avviato proprio all'inizio del 2020, nei confronti dei soggetti identificati come responsabili delle ripetute sottrazioni di beni librari e di valore storico-artistico fin qui accertate, compresi un ex segretario dell'accademia, una ex soprintendente all'archivio e alle gallerie e un ex direttore della "biblioteca romana Sarti";

in merito alla donazione Bucarelli, poi, resta non chiarita la natura pubblica o privata del fondo, dato che farebbe la differenza tra la contestazione del reato di peculato, nel primo caso, o di "semplice" appropriazione indebita nel secondo,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo abbia contezza dell'avvenuto perfezionamento del contratto di donazione di Palma Bucarelli all'accademia nazionale di san Luca o sussistano, in merito, i dubbi avvalorati dall'assenza di qualsiasi elenco degli oggetti e del relativo valore, qual è richiesto nel caso di donazione di beni mobili che non siano di modico valore come quelli, invece, del fondo documentale ceduto all'archivio centrale dello Stato il 29 aprile 1998 mediante una semplice convenzione di donazione (ex art. 783 del codice civile), firmata successivamente al verbale di consegna del febbraio precedente;

se non ritenga, in caso di mancato perfezionamento della donazione o di comprovati inadempimenti, che lo Stato debba prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di acquisire quel patrimonio dagli eredi legittimi della celebre proprietaria, quando ne entreranno in possesso;

se sia stato già formalizzato o, in mancanza, se non sia il caso di apporre su quanto resta del fondo Palma Bucarelli un vincolo storico-relazionale ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.


(3-01511)



CORRADO , GRANATO , FERRARA , VANIN , TRENTACOSTE , ABATE , ANGRISANI , PIRRO , DE LUCIA , LANNUTTI , MAIORINO - Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. -

Premesso che:

la pandemia da COVID-19 ha impedito l'apertura, il 4 aprile 2020, nella sede dei musei capitolini a palazzo Caffarelli a Roma, della prevista esposizione a cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri di 96 su 623 tra statue e sculture della collezione Torlonia, la più importante raccolta privata di marmi antichi del mondo;

dopo la tappa romana, è previsto che i marmi siano trasferiti a Parigi (al Louvre) e poi a Los Angeles ("J.P. Getty museum"), per tornare in fine a Roma "in una sede permanente, cercando un luogo adatto insieme al Comune e alla Famiglia", come si legge on line su "artribune" il 18 ottobre 2019;

a monte c'è l'accordo del 15 marzo 2016 tra il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, anche allora a guida Franceschini, e la fondazione Torlonia onlus, creata nel 2014, stipulato in un'ottica di collaborazione pubblico-privato finalizzata esplicitamente a definire le attività e individuare gli immobili utili ad assicurare la fruizione pubblica della collezione dei Torlonia in Italia;

considerato che:

in data 19 febbraio 2020 la prima firmataria ha presentato un'interrogazione, ad oggi senza risposta, che traeva spunto dagli articoli di Claudio Marincola su "il Quotidiano del Sud" del 16 e 18 gennaio 2020. Attingendo alla citazione in giudizio del "Getty museum" davanti il tribunale di New York da parte della Phoenix Ancient Art dei fratelli Ali e Hicham Aboutaam, Marincola svelava la trattativa intercorsa, anteriormente all'accordo dei Torlonia con il Ministero, fra quelli e il Getty museum, per l'acquisto e il trasferimento della collezione nella celebre villa privata di Malibù;

l'affare, da centinaia di milioni di dollari, a parere dei mediatoti (gli Aboutaam) sarebbe sfumato perché venditore e acquirente li avrebbero tagliati fuori per accordarsi direttamente, da ultimo sull'ipotesi oggi praticata, facendo perdere loro la ricchissima provvigione;

Marincola, che data erroneamente la citazione in giudizio ad aprile 2018, presume che a far saltare il piano originale sia stato il contenzioso tra gli eredi del principe Alessandro Torlonia, morto a dicembre 2017, con relativa impugnazione del testamento e provvedimenti giudiziali, nonché il contegno spregiudicato del nipote del principe e presidente della fondazione;

considerato inoltre che:

un articolo di Fabio Isman pubblicato sul numero di aprile 2020 de "Il Giornale dell'Arte", oltre a riferire che il tribunale newyorkese ha dato torto ai querelanti, ricostruisce anch'esso la vicenda del tentato acquisto della collezione Torlonia da parte del Getty museum ma, rispetto al primo, attinge in modo più diretto e fedele alle 38 pagine del documento legale, depositato in realtà il 12 gennaio 2017 e oggi reperibile in rete, restituendo una versione dei fatti più circostanziata;

sembra certo, nonostante le ambiguità di quel testo, che dopo l'ipotesi iniziale di acquistare la collezione e trasferirla negli USA, risultata non percorribile, quanto al secondo aspetto, alla luce della legislazione italiana vigente (fatto che, nonostante il parere legale chiesto all'ex avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli, pare essere risultato chiaro agli Aboutaam solo a seguito dell'incontro di maggio 2015 con l'allora direttore generale archeologia del Ministero), fu elaborata una diversa ipotesi di lavoro;

la nuova soluzione prevedeva che il museo californiano avrebbe comprato la collezione per lasciarla in Italia, esposta in uno storico palazzo romano, e ne avrebbe veicolata la conoscenza negli USA centellinandola con esportazioni temporanee di piccoli nuclei selezionati di marmi;

il tentativo della Phoenix di rivendicare la paternità della terza scelta tattica, consistente non nella vendita ma nell'esposizione e portata ad effetto a marzo 2016, si è risolto in tribunale in un nulla di fatto, sì che il Getty non solo non deve pagare i 77 milioni richiesti dagli ideatori dell'affare e mediatori ma, senza spendere il previsto mezzo miliardo di dollari, si è comunque assicurato, per ora, la mostra del "meglio" della collezione Torlonia a Los Angeles, seconda tappa estera dopo quella parigina, con i relativi introiti milionari;

valutato che lo scenario futuro sembra poter riservare altre "sorprese", poiché il silenzio che aleggia sul previsto "programma organico di valorizzazione" dopo la grande mostra romana sulla storia della collezione può far temere che le intese e le condizioni fissate al riguardo tra il Ministero e i Torlonia in atti successivi all'accordo di marzo 2016 possano tradire lo spirito dell'intesa iniziale,

si chiede di sapere:

quali accordi siano stati stipulati dal Ministero per i beni culturali con la fondazione Torlonia onlus dopo l'intesa del marzo 2016 e quale ufficio abbia condotto le trattative; altresì quali accordi il Dicastero abbia stretto, quando e tramite chi, con il Louvre e il Getty museum;

a quale tavolo istituzionale siano state decise, e su proposta di chi, le due sedi estere di allestimento della mostra, non ancora selezionate all'atto dell'accordo di marzo 2016, che, ispirato da finalità di tutela, concentrava l'attenzione sull'opportunità di esporre finalmente al pubblico, in Italia, una prima selezione e poi tutta la collezione Torlonia, lasciando molto sullo sfondo le due trasferte internazionali, prospettiva oggi completamente ribaltata;

quali garanzie di affidabilità i Torlonia possano dare al Ministero dopo che, già responsabili del clamoroso abuso edilizio (poi prescritto) che negli anni '70 del secolo scorso determinò lo smantellamento del museo ottocentesco di via della Lungara 1, dal 2010 a tutto il 2015 hanno tentato di vendere la collezione agli americani sulla base di una trattativa segreta che, contra legem, ne prevedeva l'esportazione, nonostante fosse vincolata dal 1910;

se il Ministro in indirizzo ritenga di rispettare il principio di cautela trasferendo all'estero per oltre un anno la prima esposizione dei marmi Torlonia mai realizzata, ancor prima che in Italia sia scelta e predisposta la sede definitiva dell'esposizione, e di portarla proprio nel museo privato diretto da quel Timothy Potts che, con sorprendente disinvoltura, dalla primavera 2013 fino all'estate 2015 ha brigato per acquistare e trasferire la collezione negli USA grazie agli Aboutaam, per poi estrometterli e accordarsi direttamente con i Torlonia, quindi rapportarsi senza imbarazzi con il Ministero per l'esposizione della collezione al Getty museum;

se, inoltre, ritenga di rispettare il principio di cautela assentendo all'esposizione dei marmi Torlonia proprio nel museo privato statunitense che, nonostante la sentenza definitiva della Cassazione emessa a dicembre 2018, non ha ancora proceduto alla restituzione all'Italia dell'atleta di Fano (il bronzo di Lisippo ripescato in Adriatico nel 1964, acquistato dal Getty museum e ivi esposto dal 1977) ma anzi ha commentato quella pronuncia dichiarando di non ritenere legittima la confisca della statua e di non avere intenzione di renderla al nostro Paese.


(3-01531)